Il nuovo reato di femminicidio: profili di (in)costituzionalità rispetto all’art. 3 della Costituzione

Il recente disegno di legge che introduce l’art. 577-bis c.p., istituendo il reato autonomo di femminicidio, ha suscitato un ampio dibattito giuridico. La nuova norma prevede una pena aggravata per chi cagiona la morte di una donna in ragione del suo genere, qualificando tale condotta come atto di discriminazione o di odio verso la vittima in quanto donna. Tuttavia, questa previsione normativa solleva interrogativi circa la sua compatibilità con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Il principio di uguaglianza e il trattamento differenziato

L’art. 3 della Costituzione stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. Questo principio impone al legislatore di trattare in modo uguale situazioni uguali e di differenziare il trattamento solo in presenza di ragioni oggettive e ragionevoli.

La previsione di una fattispecie autonoma di femminicidio pone il problema di una possibile disparità di trattamento rispetto ad altre categorie di vittime di omicidio. Se la ratio della norma è quella di punire più severamente l’omicidio caratterizzato da motivazioni discriminatorie, allora si potrebbe obiettare che la tutela non dovrebbe essere limitata alle donne, ma estesa a tutte le vittime di crimini motivati da discriminazione, incluse quelle per motivi di orientamento sessuale, etnia o disabilità.

La giurisprudenza costituzionale sui trattamenti differenziati

La Corte Costituzionale ha più volte affermato che il principio di uguaglianza non vieta trattamenti normativi differenziati, purché essi siano ragionevoli e giustificati da un interesse costituzionalmente rilevante. In tal senso, si potrebbe ritenere che la previsione di un reato autonomo per il femminicidio trovi fondamento nell’esigenza di contrastare un fenomeno sociale specifico e particolarmente diffuso.

Un elemento a favore della costituzionalità della norma potrebbe derivare dall’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che ha sottolineato più volte l’obbligo degli Stati di adottare misure speciali per prevenire la violenza di genere (cfr. sentenza Opuz c. Turchia, 2009). La previsione di una norma specifica per il femminicidio potrebbe quindi essere vista come un’azione positiva necessaria per garantire una tutela effettiva alle donne, che rappresentano statisticamente le vittime principali di questo tipo di violenza.

Possibili profili di incostituzionalità

Nonostante le ragioni a sostegno della norma, vi sono anche profili di possibile incostituzionalità:

  • Disparità di trattamento tra vittime di omicidio: la norma stabilisce una tutela rafforzata per le donne, ma non contempla altre categorie vulnerabili, come gli anziani, i disabili o gli uomini vittime di violenza domestica.
  • Principio di proporzionalità: l’omicidio è già punito severamente dall’ordinamento, con la previsione di pene fino all’ergastolo in presenza di aggravanti (artt. 576 e 577 c.p.). L’introduzione di una fattispecie autonoma potrebbe risultare ridondante.
  • Possibile discriminazione al contrario: la norma potrebbe essere interpretata come una violazione del principio di parità di genere, favorendo una protezione giuridica differenziata senza una motivazione sufficientemente solida.

Conclusioni

Se la Corte Costituzionale fosse chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 577-bis c.p., probabilmente valuterebbe la ragionevolezza della differenziazione normativa alla luce dell’esigenza di contrastare la violenza di genere. Tuttavia, per evitare profili di incostituzionalità, una possibile soluzione potrebbe essere la riformulazione della norma in termini più generali, introducendo un’aggravante per gli omicidi caratterizzati da discriminazione di genere, senza limitare la tutela esclusivamente alle donne. In questo modo, la disposizione si armonizzerebbe meglio con il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione, garantendo una protezione equa a tutte le vittime di crimini motivati da odio e discriminazione.

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